Il Regolamento UE sul lavoro forzato è entrato in vigore il 13 dicembre 2024. Dal 14 dicembre 2027 sarà vietato immettere sul mercato UE e mettere a disposizione beni realizzati attraverso il lavoro forzato.

Il Regolamento (UE) 2024/3015 che vieta i prodotti ottenuti con il lavoro forzato sul mercato dell’Unione (Regolamento sul lavoro forzato, FLR), allinea la definizione di “lavoro forzato” (o “lavoro obbligatorio”) alla Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 29 (Convenzione sul lavoro forzato). Questo termine indica ogni lavoro o servizio “estorto a una persona sotto minaccia di una punizione o per la quale detta persona non si sia offerta spontaneamente”, o usato come misura di coercizione, sanzione, disciplina o discriminazione.

Il regolamento si applica a tutti i prodotti venduti nell’Unione europea o da essa esportati, indipendentemente dalla loro origine o dal settore e senza soglie di valore: a partire dal 14 dicembre 2027, i prodotti e i loro componenti saranno banditi dal mercato se è stato fatto ricorso al lavoro forzato in qualsiasi fase della loro produzione, fabbricazione, raccolta o estrazione, in tutto o in parte, compreso le lavorazioni o trasformazioni connesse a tali prodotti.

Il regolamento non introduce nuovi obblighi di diligenza in materia di diritti umani per le imprese, ma rafforza la legislazione degli Stati membri sul lavoro forzato e i quadri normativi dell’UE, tra cui la direttiva UE sulla dovuta diligenza in materia di sostenibilità delle imprese (CSDDD). Laddove la CSDDD stabilisce obblighi di due diligence relativi all’impatto del lavoro forzato per le imprese lungo tutta la catena del valore, ma non include disposizioni per vietare l’importazione di prodotti nel mercato dell’UE, il FLR implementa meccanismi per il divieto, il ritiro o lo smaltimento di prodotti realizzati con il lavoro forzato, chiedendo che tali prodotti siano riciclati, resi inutilizzabili o distrutti.

Entro il 14 dicembre 2025, gli Stati membri devono nominare un’autorità competente e notificarla alla Commissione europea, che ne pubblicherà l’elenco nel cosiddetto “Portale unico del lavoro forzato”. Il portale, che dovrà essere istituito entro il 14 giugno 2026, servirà anche come archivio per le decisioni e le linee guida per le imprese, ivi comprese le procedure di due diligence e le migliori pratiche far cessare i rischi di lavoro forzato o per riparare ai casi di lavoro forzato. La Commissione europea è inoltre tenuta a istituire una banca dati pubblica delle zone geografiche o dei prodotti o gruppi di prodotti a rischio di lavoro forzato, anche per quanto riguarda il lavoro forzato imposto dalle autorità statali. Le decisioni relative al divieto, al ritiro o allo smaltimento dei prodotti saranno riconosciute in tutti gli Stati membri. Le imprese che non si conformano alle decisioni prese ai sensi del regolamento possono incorrere in sanzioni pecuniarie.

Raccomandazioni

Le imprese hanno tre anni di tempo per valutare l’esistenza di rischi legati al lavoro forzato all’interno delle loro catene di approvvigionamento, sia direttamente attraverso le loro attività di importazione o esportazione, sia indirettamente attraverso la dipendenza da prodotti importati o esportati, e mappare la loro potenziale esposizione. Allo stesso tempo, dovrebbero provvedere ad inserire nei contratti con i loro fornitori clausole volte a mitigare il rischio che determinati prodotti vengano trattenuti alle frontiere dell’UE, con conseguente loro ritiro dal mercato o smaltimento.



Dear Members and extended Community,

as we bid farewell to 2024 and embrace new beginnings, we would like to take a moment to express our heartfelt gratitude for the trust and cooperation you have shown us. To be more specific, dear Members, your support has been vital to our journey, and we are extremely grateful to have you by our side.

The year has been once again a difficult one, with commodity traders facing daily challenges that have been further exacerbated by an increasing political interference in market activities. Fortunately, the sector has proven time and time again that it has what it takes to overcome these obstacles, but in an ever-changing environment, knowledge, training, experience sharing, and a competitive and attractive business location are cornerstones. Thus, in 2025 the LCTA will continue its efforts to offer valuable training and networking opportunities while also maintaining an open line of communication with authorities and other significant stakeholders.

During our discussions with such key players, we regrettably noticed that the sector’s significance is frequently undervalued. To address the shortage of accurate baseline statistic data and gain stronger bargaining power, the LCTA will therefore launch a substantial Industry Assessment and Data Collection survey. To safeguard your privacy, we will use state-of-the-art cryptography. We will delve deeper into this matter in the coming months, but for the time being, just know how important your input is: help us serve you!

In the meantime, we wish you and your loved ones a joyful holiday season and a New Year filled with opportunities, renewed partnerships, and continued growth.

Warmest regards,

Matteo Somaini, President & Monica Zurfluh, Secretary General



Il 5 dicembre 2024, presso l’Hotel Splendide Royal di Lugano e in concomitanza con la sua Assemblea Generale Annuale, la LCTA ha tenuto la «Commodity Roundtable». L’evento ha visto la partecipazione dell’Ambasciatrice svizzera Monika Schmutz Kirgöz quale ospite d’onore e ha attirato oltre 120 partecipanti da tutta la Svizzera. È stata evidenziata la capacità di adattamento dei trader di materie prime all’aumento dei rischi geopolitici e a quadri normativi sempre più stringenti.

In concomitanza con la sua 14ª Assemblea Generale Ordinaria e dopo un altro anno difficile per il settore, la Lugano Commodity Trading Association (LCTA) ha deciso di organizzare una tavola rotonda per una valutazione della situazione attuale. Alla tavola rotonda diversi associati si sono espressi su un argomento di stretta attualità: le sfide e le restrizioni geopolitiche al libero commercio.

L’evento ha preso l’avvio con un discorso introduttivo da parte del Presidente della LCTA Matteo Somaini che ha sottolineato come, dopo un anno caratterizzato da un crescente intervento politico nelle attività economiche e da sfide senza precedenti per il settore, i trader di materie prime continuino a navigare in acque inesplorate. La parola è poi passata all’ospite d’onore, l’Ambasciatrice svizzera Monika Schmutz Kirgöz. Attualmente capo missione a Roma e precedentemente in servizio a Tel Aviv, Istanbul e Beirut, l’Ambasciatrice Schmutz Kirgöz assumerà la leadership della Divisione Medio Oriente e Nord Africa del Dipartimento Federale degli Affari Esteri (DFAE) a partire da gennaio 2025. L’Ambasciatrice ha portato la sua esperienza diretta in Medio Oriente e ha sottolineato la fase critica di transizione che il mondo sta attraversando, caratterizzata da un cambiamento geopolitico cruciale verso una nuova multipolarità e dall’emergenza dell’intelligenza artificiale come forza di trasformazione, con implicazioni sostanziali per le aziende.

Le osservazioni dell’Ambasciatrice Schmutz Kirgöz hanno contribuito ad innescare una discussione nella tavola rotonda moderata dal Vicepresidente della LCTA Roberto Grassi, che ha visto la partecipazione di Costanza Eufemi (Co-fondatrice di Lyra Commodities SA), Mattia Giussani (Responsabile Power Origination di Sirius Energy SA) e Roger Hughes (COO e Risk Manager di DITH). La discussione ha affrontato il declino dell’Europa in termini di produttività e tecnologia, il suo emergere come potenza regolatrice e i vincitori e i perdenti della guerra delle sanzioni. I relatori hanno riconosciuto che, se da un lato alcuni segmenti del settore del commercio di materie prime hanno perso parte della loro attività e sono stati costretti a cercare fornitori o clienti alternativi, dall’altro ci sono stati anche sviluppi positivi. In particolare, l’iniziativa concertata dell’Europa per raggiungere l’indipendenza energetica attraverso la diversificazione delle fonti energetiche e la promozione delle energie rinnovabili ha favorito le società di trading impegnate in questi settori o che sostengono lo sviluppo delle infrastrutture necessarie.

La crescente influenza globale della Cina è innegabile: la potenza asiatica svolge un ruolo centrale nella catena di approvvigionamento globale di materie prime essenziali e sta espandendo il proprio raggio d’azione assicurandosi strategicamente miniere e risorse in regioni come l’Africa e il Sud America, spesso in cambio della costruzione di infrastrutture o dell’integrazione dell’intera catena del valore, dall’estrazione alla produzione, ottenendo così un vantaggio competitivo sui concorrenti. Inoltre, la Cina detiene partecipazioni o gestisce vari porti vitali in tutto il mondo, tra cui il porto del Pireo in Grecia, il porto di Gwadar in Pakistan e il porto di Chancay in Perù, recentemente inaugurato. Il controllo cinese delle infrastrutture critiche è la prova di un approccio strategico lungimirante e ben coordinato, anche se desta preoccupazione, poiché potrebbe servire da meccanismo di leva geopolitica.

Nel complesso, il panel ha esaminato come l’interazione tra deglobalizzazione e protezionismo commerciale influiscano sulle decisioni aziendali e sui modelli di investimento, portando alla creazione di ridondanze all’interno delle catene di approvvigionamento per rafforzare la resilienza aziendale e garantire la continuità operativa. Nonostante le sfide oggettive, dalla discussione è emerso un quadro positivo delle aziende attive nel trading di materie prime, che risultano essere adattabili e flessibili malgrado i mercati siano in rapida evoluzione, innovative nella risoluzione dei problemi in aree come la logistica e la gestione dei rischi e, soprattutto, orientate ai clienti. Una discussione che è culminata con una ciliegina sulla torta. Sebbene l’argomento non sia stato esplicitamente trattato, la risposta a una domanda del pubblico, legittima ma provocatoria, è stata inequivocabile: il Ticino, e più in generale la Svizzera, continuano ad offrire condizioni quadro favorevoli e finché il quadro normativo resterà tale rimarranno luogo preferito dai trader di materie prime per condurre i loro affari.

Lugano, 6 dicembre 2024
Per ulteriori ragguagli: Monica Zurfluh, Segretario Generale LCTA, zurfluh@lcta.ch, M +41 79 220 40 71



LCTA is honored to report that on Wednesday, November 28, 2024 its President Matteo Somaini was reelected as a Member of the Executive Board of the Swiss umbrella association SUISSENÉGOCE for the term 2024-2026.

In this capacity, he will not only continue to advocate for the interests of our Members and represent our Association, but also engage in critical discussions about the commodity trading sector within a committee comprised of senior representatives from leading commodity trading companies and financial institutions, alongside our sister organization, the Zug Commodity Association (ZCA).

We congratulate Matteo and the newly elected Executive Board of SUISSENÉGOCE, wishing them productive deliberations!

In today’s budget announcement, the UK Government has released its comprehensive response to the CBAM consultation held earlier this year, confirming that the UK CBAM will impose a carbon price on goods imported from the aluminium, cement, fertiliser, hydrogen, iron, and steel sectors beginning January 1, 2027. Commodity codes falling within the scope of UK CBAM are listed in Annex B.

Products from the glass and ceramic sectors will be exempted from CBAM in its initial rollout.

The registration threshold is set at £50,000 for CBAM goods imported into the UK within a 12-month timeframe.



Intervista ad Anna Borschchevskaya, membro senior, The Washington Institute for Near East Policy, USA, da parte di Dimitri Loringett

La posizione strategica del Medio Oriente, al crocevia tra Europa, Asia e Africa, lo rende uno snodo vitale per il commercio globale, specie per i trasporti marittimi. Il perdurare della guerra di Israele contro Hamas nella Striscia di Gaza e ora quello paventato contro gli Hezbollah in Libano preoccupa molto anche il settore del commercio di materie prime, in Ticino rappresentato dalla Lugano Commodity Trading Association. In vista della Global Commodities Conference, che si terrà il prossimo 2 luglio al LAC, abbiamo parlato con la studiosa di politica estera Anna Borschchevskaya, esperta soprattutto di Russia e del suo ruolo in Medio Oriente.

Parte della conferenza di Lugano è dedicata alla situazione in Medio Oriente, dove lo scoppio della guerra a Gaza ha nuovamente allarmato il mondo del commercio globale per le possibili conseguenze di un’altra situazione di crisi. Quali?

«Nel complesso, la regione sta attraversando un periodo turbolento ed è improbabile che le cose cambino presto, quindi è importante prepararsi a una situazione di instabilità di lungo periodo. Questa regione si trova in corrispondenza di nodi strategici che hanno un impatto sul commercio marittimo. Si pensi per esempio a come i ribelli yemeniti Houthi nel Mar Rosso riescano, con il lancio di droni “economici”, a indurre gli Stati Uniti a reagire con l’utilizzo di armamenti più costosi. È probabile che altri avversari dell’Occidente possano prendere esempio dagli Houthi e trovare il modo di perturbare i commerci marittimi con simili approcci “a basso costo” per raggiungere i propri obiettivi strategici, che probabilmente includono ulteriori azioni per indebolire gli Stati Uniti e i loro alleati. Anche la Russia è presente nella regione, con la sua cosiddetta «flotta fantasma» che continua a trasportare petrolio in queste acque, seppur con rischi accresciuti. Queste navi, infatti, non sono coperte da assicurazione, il che fa aumentare considerevolmente i rischi associati al loro utilizzo».

Gli Stati Uniti sono chiamati a «risolvere» la complessa e fragile situazione in Medio Oriente, ma la loro influenza e ruolo di «polizia del mondo» sembrano diminuire. D’altra parte, nella regione ci sono interessi anche di altre potenze globali, tra cui quelli della Russia che, tuttavia, non è coinvolta nei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza. Mosca potrebbe fare di più (o qualcosa) per contribuire a stemperare le tensioni?

«Che l’influenza degli Stati Uniti sia in declino oppure no, Putin vuole cambiare l’ordine mondiale rafforzando il potere e l’influenza russa per indebolire l’Occidente. La Russia di Putin ha sempre visto il Medio Oriente come un campo per competere con l’Occidente. Infatti, l’intervento militare di Mosca in Siria alla fine del 2015 ha rappresentato una sfida all’ordine mondiale liberale. La Russia mira a un mondo multipolare e ha usato il Medio Oriente per raggiungere tale obiettivo. Per anni la Russia si è posizionata come mediatore nella regione, come qualcuno in grado di parlare con tutte le parti. Ma in realtà si è sempre avvicinata alle forze antiamericane della regione, ovvero l’Iran e i suoi alleati insieme al regime di Assad. La risposta della Russia al 7 ottobre, tuttavia, ha segnato una rottura con questo approccio. Putin ha dimostrato di non essere amico di Israele. Non ha condannato direttamente Hamas, anche se sono stati uccisi cittadini russi. Al contrario, Putin ha incolpato gli Stati Uniti per i problemi nella Striscia. La Russia ha anche sfruttato il caos che ne è derivato a suo vantaggio e ha lavorato per intensificarlo ulteriormente, perché ne trae vantaggio su più fronti, tra cui quello di distogliere l’attenzione dell’Occidente dall’Ucraina. La Russia era anche amareggiata per gli sforzi di normalizzazione in corso tra mondo arabo e Israele, perché erano stati negoziati dagli Stati Uniti. La Russia è stata contenta di vedere questo accordo messo in pericolo e ha lavorato per alimentare il sentimento antisraeliano nel mondo arabo. In questo contesto è difficile capire quale ruolo positivo possa svolgere la Russia per contribuire a risolvere la guerra israelo-palestinese. Israele a questo punto, vista la risposta della Russia al 7 ottobre, è improbabile che veda Mosca come un mediatore neutrale, ma lo scopo di qualsiasi mediazione russa non è quello di arrivare a una vera risoluzione. Non ha la capacità né il desiderio di trovarla».


L’Iran è il nemico dichiarato di Israele ed è anche un alleato strategico della Russia. Cosa significa questa alleanza per la (in)stabilità della regione del Medio Oriente?

«La Russia trae vantaggio dal perpetuarsi di un conflitto a bassa intensità. Per la prima volta nella storia tra i due Paesi, la Russia si trova a dipendere dall’Iran, in particolare dai droni iraniani, che la Russia utilizza per gli attacchi contro obiettivi ucraini. Ciò significa che il partenariato strategico con l’Iran non solo si approfondirà, ma la Russia probabilmente si spingerà oltre rispetto a quanto avrebbe fatto prima dell’invasione dell’Ucraina. Ciò significa che Russia e Iran insieme probabilmente coopereranno maggiormente per alimentare le tensioni e il caos nella regione, a scapito degli interessi occidentali».


Quanto è alto il rischio di una guerra che si estenda al Golfo Persico?

«La guerra è destabilizzante a prescindere. Quindi, anche se c’è sempre un rischio, un Paese di solito preferisce limitare la guerra. Questo è vero in generale, come lo è per la guerra della Russia contro l’Ucraina, almeno in questo momento. La Russia preferirebbe infatti non combattere una guerra diretta con la NATO o gli Stati Uniti. Riguardo all’Iran, non sembra che Teheran voglia una guerra su larga scala ma piuttosto un conflitto continuo. È infatti più facile gestire un conflitto a bassa intensità rispetto a uno su larga scala – cosa che preferirebbe anche la Russia, dato che non vorrebbe essere messa nella condizione di dover impegnare oltre misura le risorse di cui ha bisogno per combattere la guerra in Ucraina».

A proposito di Ucraina: al di là della propaganda e delle accuse dell’Occidente, quanto è reale la minaccia che la Russia estenda la sua azione militare oltre la Crimea e gli altri territori dell’Ucraina orientale che ha occupato?

«Innanzitutto, vorrei dire che sono gli stessi funzionari russi ad aver chiarito che i loro obiettivi finali vanno oltre l’Ucraina. Anche le loro attività di destabilizzazione in Moldavia, Georgia e nei confronti dei membri della NATO sollevano legittime preoccupazioni. Inoltre, la Bielorussia è ufficiosamente coinvolta da molto tempo. Le minacce nucleari hanno anche lo scopo di dissuadere l’Occidente da ulteriori azioni. Putin presenta la guerra come una battaglia esistenziale in cui l’Occidente avrebbe attaccato la Russia usando l’Ucraina. Dal punto di vista del Cremlino, quindi, si tratta di una battaglia globale. È certamente possibile che se Putin ritiene che la guerra stia andando male possa diventare più aggressivo come parte della gestione dell’escalation, per spostarsi in altri Paesi».

È davvero nell’interesse dell’Occidente avere la Russia come nemico?

«È la Russia che vede l’Occidente come un nemico. L’Occidente, al contrario, per anni ha adottato misure per integrare la Russia, per rispondere alle sue preoccupazioni e ha chiuso gli occhi di fronte al suo comportamento aggressivo. Per esempio, la NATO aveva istituito uno speciale Consiglio Russia-NATO proprio per includere Mosca nelle discussioni sull’allargamento della NATO. Putin, da parte sua, non ha mai pagato un prezzo per la sua aggressività, dalla Georgia nel 2008, alla Crimea nel 2014, alla Siria nel 2015. Questi passi lo hanno portato a concludere che l’Occidente è debole e non si opporrà a ulteriori aggressioni. Putin sta combattendo una guerra con l’Occidente da anni. Non si tratta di una guerra convenzionale diretta, ma comunque di una guerra. Ci è voluta l’invasione dell’Ucraina perché l’Occidente iniziasse a riconoscerlo e a rivalutare i suoi presupposti fondamentali sulla Russia».


È lecito affermare che, una volta cessati i combattimenti e qualunque sia l’esito del conflitto (che, come sostengono molti analisti, non avrà né un vincitore né un vinto), la frattura tra Occidente e Oriente è così profonda che ci vorrà almeno una generazione per cambiare la narrazione e recuperare la fiducia tra i due blocchi?

«La Russia non ha mai fatto i conti con l’Holodomor (la carestia provocata per mano dell’uomo in Ucraina che causò diversi milioni di morti dal 1932 al 1933, ndr). Ciò che sappiamo dalla storia della Seconda guerra mondiale è quanto sia difficile far accettare a un Paese di aver perpetrato un genocidio. Nel caso della Germania, ci sono voluti non solo la perdita della guerra, ma anche molti anni di occupazione americana. Non sappiamo come finirà la guerra e quando, ma è lecito pensare che fino a quando la Russia non farà i conti con il suo passato, ci vorrà molto più di una generazione per superare questa enorme frattura».

Articolo pubblicato inizialmente sul Corriere del Ticino, 28.06.2024



On June 24, 2024, the European Union (EU) adopted a further package of sanctions against Russia, targeting the Country’s gas sector for the first time and imposing an array of new measures.

The so-called 14th package of measures targeting Russia is set out in the Regulation (EU) 2024/1745 and includes, among others, the following elements:

Energy

  • Russian LNG transshipment through EU ports is prohibited following a 9-month transition period
  • Russian LNG cannot be imported into terminals that are not connected to EU gas pipelines
  • prohibition on future investments and exports to LNG projects under construction, such as Arctic LNG 2 and Murmansk LNG
  • List of vessels supporting the Russian warfare and the energy sector and that have been banned from port entry and service provision.

Anti-circumvention measures

  • EU parent companies must prevent their subsidiaries in third countries from engaging in sanctions-violating transactions;
  • EU companies must conduct due diligence to prevent common high priority (CHP) goods from entering Russia and ensure that their foreign subsidiaries trading in CHP goods follow suit;
  • EU companies may not be protected from liability if they did not comply with due diligence responsibilities, even if they had no reasonable suspicion of violating EU sanctions (see Decision (CFSP) 2024/1744);
  • Individuals can face prosecution for both willfully circumventing EU sanctions and participation in such transactions; this also applies if the individual suspects or tolerates that sanctions are being circumvented.

Additional listings

  • There are 116 further listings of 69 individuals and 47 entities with asset freezes and travel bans. The listings cover a wide range of Russian government sectors, including military companies, space engineering firms, chemical and explosive companies, and significant Russian energy companies.

Financial sector

  • EU banks outside Russia are prohibited from using the Financial Messaging System of the Central Bank of Russia (SPFS), the Russian equivalent of SWIFT, to connect and carry out transactions;
  • Transactions with third-country banks using SPFS are prohibited;
  • Prohibition of transactions with Russian and third-party banks and crypto assets providers facilitating transactions supporting Russia’s defense-industrial base.

Trade

  • Extension of the export restrictions on dual use/advanced technology items;
  • Reinforced export bans on for vital sectors for Russia’s military economy, including chemicals, plastics, vehicles parts and machinery;
  • Import ban on helium;
  • Extension of the Common High Priority (CHP) list;
  • Finetuning of the import ban on Russian diamonds.

Transport

  • Prohibition of port access and services for listed vessels;
  • Current EU road transport undertakings owned 25% or more by Russian individuals are prohibited from transporting goods into the EU; companies owned 25% or more by Russian individuals are also barred from becoming EU road transport undertakings

Useful links:
Q&A 14th package of restrictive measures against Russia (europa.eu)



La SSR ha bisogno di risorse finanziarie sufficienti per poter fornire un’offerta giornalistica equivalente in tutte le regioni linguistiche. Su questa base il Consiglio federale respinge l’iniziativa federale “200 franchi bastano!” e propone una riduzione graduale del canone radiotelevisivo a carico delle economie domestiche e un aumento del limite per il pagamento del canone a carico delle imprese.

Nella seduta del 19 giugno, il Consiglio federale ha deciso di respingere l’iniziativa popolare “200 franchi bastano! (Iniziativa SSR)” che intende ridurre il canone radiotelevisivo per le economie domestiche dagli attuali CHF 335 a CHF 200 ed esentare completamente le imprese dall’obbligo di pagamento. Secondo il Consiglio federale, questa iniziativa è eccessiva e la SSR ha bisogno di risorse sufficienti per fornire un’offerta giornalistica equivalente in tutte le regioni linguistiche.

Il Consiglio federale intende comunque sgravare le economie domestiche e le imprese e propone quindi la riduzione graduale del canone radiotelevisivo a carico delle economie domestiche e un innalzamento del limite di pagamento del canone a carico delle imprese. Per le economie domestiche, il canone passerà dagli attuali CHF 335 a CHF 312 a partire dal 2027 e a CHF 300 dal 2029. Per le imprese, a partire dal 2027 il limite di pagamento passerà dagli attuali CHF 500’000 di fatturato annuo a CHF 1,2 milioni. Le categorie tariffarie superiori resteranno per contro invariate.

La parola passa ora al Parlamento.

Fonte: Comunicato stampa del Consiglio federale, 19.06.2024



The European Union’s Critical Raw Materials Act (CRMA), issued as Regulation (EU) 2024/1252, took effect on May 23, 2024.

The primary goal of the CRMA is to maintain and provide a secure and sustainable supply of Critical Raw Materials to the European Union. Annexes 1 and 2 to the Regulation list 34 critical materials, 17 of which are considered strategical because their demand is set to increase exponentially, as they are crucial for both the green and the digital transitions as well as for industrial value chains in general, and for strategic technologies in areas such as space and defense in particular: aluminium/bauxite/alumina*, coking coal, lithium*, phosphorus, antimony, feldspar, light rare earth elements*, scandium, arsenic, fluorspar, magnesium, silicon metal*, baryte, gallium*, manganese*, strontium, beryllium, germanium*, natural graphite*, tantalum, bismuth*, hafnium, niobium, titanium metal*, boron*, helium, platinum group metals*, tungsten*, cobalt*, heavy rare earth elements*, phosphate rock, vanadium, copper*, nickel*
(*strategic raw materials).

These materials are found in a variety of common appliances and in products essential to the EU’s economy, including smartphones, electric vehicles, wind turbines, semiconductors, and planes. For certain critical raw materials, the EU relies completely on one country, such as: heavy rare earth elements (100% from China), boron (98% from Turkey), or platinum (71% from South Africa).

The CRMA recognizes the dependence on Critical Raw Materials for the European internal market and economies, considers the high concentration of such raw materials within few third countries as a potential risk to their supply, and sets a multifaceted approach to both strengthen the value chain of these raw materials and cover their annual consumption by 2030:

  • >10% domestic extraction
  • >40% domestic processing
  • >25% recycling
  • <65% single-source (in this regard, the EU is already forming strategic alliances and encouraging raw mineral partnerships).


The Federal Council adopted the dispatch on strengthening the existing anti-money laundering framework on May 22, 2024, with the goal of reinforcing Switzerland’s integrity and competitiveness as a financial and business location through a federal register of beneficial owners and due diligence for particularly risky legal professions, among other provisions.

The bill’s key provisions are:

  • introduction of a federal registry (transparency register) requiring companies and other legal entities in Switzerland to provide information about beneficial owners, with simplified registration for associations, foundations in particular, sole proprietorships and limited liability companies. The registry aims to prevent legal entities in Switzerland from being used to launder money or hide assets. The Federal Department of Justice and Police will manage the registry, which will not be publicly available;
  • anti-money laundering due diligence regulations should apply to certain advising activities (particularly legal advice) that pose a significant risk of money laundering. The structuring of companies and real estate transactions are seen as highly risky. Professional secrecy for legal professions is preserved;
  • there are further efforts to reinforce the anti-money laundering framework. These include measures to prevent embargo-related sanctions from being violated or circumvented. Cash payments above CHF 15’000 in precious metals trading and without a limit in real estate transactions will be subject to due diligence obligations.

The bill will now be tabled in Parliament. It is unlikely to take effect before early 2026. The steps are in line with the Financial Action Task Force’s international standards for combating money laundering and terrorist financing, as well as the Global Forum’s recommendations.

Implications for SMEs

Swiss firms and legal entities are required to register their beneficial owners in the federal transparency registry, with a simplified approach for most, such as sole proprietorships, limited liability corporations, foundations, and associations. The proposed rules will impose a moderate burden, requiring 20 minutes of work for the first year, and reducing to a few minutes in subsequent years.

Useful links

Press release by the Federal Council dd. May 22, 2024
Fact sheet: Switzerland strengthens anti-money laundering framework (PDF)